Le donne di spalle di Vilhelm Hammershøi (di Sandro Polo).

Nonostante abbia esposto cinque ritratti nel 1893 alla Biennale di Venezia, vinto nel 1911 il primo premio all’Esposizone Internazionale di Roma e la Galleria degli Uffizi gli abbia chiesto un autoritratto, Vilhelm Hammershøi in Italia è pressoché sconosciuto. Nato nel 1864 a Copenhagen da Frederikke Rentzmann e Christian Hammershøi, un agiato commerciante danese, fin da piccolo mostra una naturale predisposizione per il disegno e la pittura. Ultimati gli studi artistici esordisce come pittore dando vita ad un’originale produzione che lo distingue da qualsiasi altro artista dell’epoca.

Nella monotona e rassicurante quiete di un’esistenza condotta con sobrietà e riservatezza, lontana da clamori e cambiamenti a parte alcuni viaggi in Europa, Hammershøi si dedica a temi e generi pittorici diversi: vedute d’interni, paesaggi, ritratti, studi di architetture, qualche marina.

In particolare, gli interni stupiscono e affascinano per la prevalente impaginazione ortogonale, il tono algido, l’essenzialità degli arredi, la raffinata gamma cromatica ridotta a pochi colori, la luce incantata e la sottile inquietudine che li pervade. Guardandoli si pensa a Vermeer e a certo Realismo Magico degli anni ’30, ma anche a Edward Hopper per le comuni atmosfere pregne di solitudine e silenzio. Gli spogli spazi, quasi sempre riferibili alle due case in cui abitò l’artista a Copenhagen, alle volte sono desolatamente disabitati, altre animati da un’unica presenza femminile, in genere sua moglie Ida Ilstad, sposata nel 1891.

Non sempre è dato sapere cosa stiano facendo queste donne, da quali sentimenti o emozioni siano pervase, dato che spesso Hammershøi le ritrae di spalle, isolate nel loro ambiente, in un mondo sospeso di sensazioni, pensieri e oggetti domestici. L’osservatore è escluso da questo universo enigmatico, lo spia da una certa distanza cercando di interpretare il contrappunto tra linee morbide e rigide, tra ombre e chiarori, tra prospettive chiuse e aperte, ammaliato dalla vibrante “luce argentata” (Poul Vad) che avvolge ogni cosa, pulsante di segreta malinconica intimità.








Il lavoro di Vilhelm Hammershøi fu apprezzato da poeti, artisti, critici e scrittori come Rainer Maria Rilke, Serge Diaghilev, Emile Nolde, Theodore Duret. Divenne inoltre punto di riferimento per le ambientazioni cinematografiche di due registi danesi, Gabriel Axel ne Il pranzo di Babette e Carl Theodor Dreyer.
