(testo di Giovanna Odorisio, foto di Luigi Burroni).

Nell’Archivio Diaristico Nazionale di Pieve S.Stefano, in provincia di Arezzo, si conserva in esposizione permanente il bellissimo lenzuolo scritto da Clelia Marchi, una contadina mantovana, nata nel 1912 e morta nel 2006. L’autrice raccontava di aver cominciato a scrivere in seguito alla morte del marito Anteo. E accadde che “ Una notte non avevo più carta. La mia maestra Angiolina Martina mi aveva spiegato che i Truschi avevano avvolto un morto in un pezzo di stoffa scritto. Ho pensato se l’hanno fatto loro, lo posso fare anch’io. Le lenzuola non le posso più consumare col marito e allora ho pensato di adoperarle per scrivere”.

Inizia così un lavoro durato quasi due anni, nel quale Clelia racconta “la storia della gente della sua terra, riempendo un lenzuolo di scritte; dai lavoro agricoli, agli affetti, dai filos alla qucina, agli affetti, e alle feste popolari: À scritto tutta una storia; una avventura, nei sacrifici, nelle sofferenze di ogni giorno; ogni riga si svolge sul filo della sincerità: come pure il titolo del lenzuolo libro: (Gnanca nà busia) non o raccontato: gnanca nà busia né par mi; né ai lettori!!!…”

Il lungo testo è in dialetto mantovano con tutte le incertezze ortografiche di una donna che aveva studiato fino alla seconda elementare e che andava “a scquola solo d’inverno; perchè la mia mamma doveva andare a lavorare altrove… e io à qurare i miei fratelli più piccoli di mè, però non c’era neanche un giocattolo: proprio no! Giocavamo con dei sassolini, della terra ”.

La visione del lenzuolo, coperto da una minuta scrittura in corsivo che cattura ipnoticamente lo sguardo, richiama immediatamente alla memoria le opere di Shirin Neshat in cui l’artista ha scritto, su volti e corpi di donne, dei versi d’amore in Parsi. Non meno poetico è il testo di Clelia, che ha l’intensità di un documento storico, sociale, linguistico e psicologico unico. L’operazione di Neshat è un’elaborazione intellettuale con cui l’artista lega i temi della condizione femminile e quelli della poesia d’amore. Dal canto suo, Clelia affronta i medesimi temi, ma con spontaneità emotiva, con la sapiente ingenuità di chi deve inventare i propri strumenti o, meglio ancora, rubarli. Per esempio, agli Etruschi.
Come osserverebbero Diego Carpitella ed Ernesto De Martino, il lenzuolo di Clelia conserva anche la funzione ‘terapeutica’ di un lamento funebre, di un pianto rituale in memoria dell’amato. Bello e commovente.

La trascrizione integrale del lenzuolo-libro è stata pubblicata una prima volta nel volume “Ganca na busia”, con prefazione di Saverio Tutino, dalla Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, 1992. La seconda edizione è apparsa per i tipi del Saggiatore, nel 2012, col titolo “Il tuo nome sulla neve”.
Fondazione Archivio Diaristico Nazionale – onlus
Piccolo museo del diario
piazza Plinio Pellegrini, 1
52036 Pieve Santo Stefano (AR)